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Interesse, vantaggio e responsabilità degli enti

Interesse, vantaggio e responsabilità degli enti
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Interesse, vantaggio e responsabilità degli enti

La Cassazione ridisegna i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità ex D.Lgs. 231/01

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui concetti di interesse e vantaggio con una sentenza della Quarta Sezione Penale (n. 22256 dell’8 giugno 2021), nella quale vengono precisati portata ed estensione dei criteri oggettivi di imputazione della responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001 dell’ente.

Si tratta dell’ultima pronuncia in ordine di tempo su un tema di recente più volte ripreso dai Giudici di legittimità, ed oggetto di riflessione proprio in un interessante arresto di poco precedente della stessa Sezione (sentenza n. 12149 del 31 marzo 2021).

Le sentenze appena richiamate si inseriscono nell’alveo del dibattito apertosi in dottrina e giurisprudenza in merito alle criticità riscontrate dopo l’introduzione tra gli illeciti-presupposto dei reati colposi, in particolare (ma non solo) di quelli commessi in violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro ex art. 25-septies D.lgs. 231/2001.

Come noto, sul punto non si sono mai taciuti i dubbi sulla possibilità di coordinare la natura non-intenzionale dei reati colposi con i requisiti di imputazione previsti dall’art. 5 del D.lgs. 231/2001 che, invece, fanno proprio dell’intenzionalità della condotta-presupposto il proprio fondamento.

Nella pronuncia n. 22256/2021, appunto, la Corte ha chiarito i rapporti tra le violazioni in materia antinfortunistica ed i presupposti dell’“interesse” e del “vantaggio”, soprattutto nell’ottica di evitare automatismi applicativi che portino a veder configurati detti criteri di imputazione oggettiva della responsabilità 231 sempre ed in “ogni caso di mancata adozione di qualsivoglia misura di prevenzione”.

Quanto alla vicenda esaminata dai giudici di legittimità, questa riguardava il caso di una società operante nel settore dei rifiuti che era risultata amministrativamente responsabile, sia in primo grado che in appello, dell’illecito di cui all’art. 25-septies D.lgs. n. 231/2001, in relazione al delitto di lesioni personali colpose ai sensi dell’art. 590 c.p.

In entrambi i gradi di giudizio era stato stabilito che la condotta omissiva addebitata all’autore del reato presupposto era stata posta in essere anche nell’interesse e/o vantaggio della Società.

La Corte d’Appello, in particolare, rinveniva la “colpa” dell’ente nella mancata valutazione del rischio di infortunio derivante dalle possibili interferenze tra lavorazioni differenti all’interno del medesimo stabilimento.

Nel reputare meritevole di accoglimento il ricorso presentato dalla società la Cassazione è ritornata sulle nozioni di interesse e vantaggio ricordando innanzi tutto che, in linea con l’ormai consolidato orientamento sul punto, nei reati colposi essi vadano rapportati alla condotta e non all’evento

Quanto al criterio dell’interesse, la Corte ha, innanzi tutto, rimarcato che trattasi di “uncriterio soggettivo, il quale rappresenta l’intento del reo di arrecare un beneficio all’ente mediante la commissione del reato. Per questo, l’interesse è indagabile solamente ex ante” ed indipendentemente dal fatto che il profitto atteso si sia poi effettivamente realizzato. Aggiunge poi la Cassazione che “è evidente che, nei reati colposi d’evento, affinché l’interesse per l’ente sussista, sarà certamente necessaria la consapevolezza della violazione delle norme antinfortunistiche, in quanto è proprio da tale violazione che la persona fisica ritiene di poter trarre un beneficio economico per l’ente (vale a dire un risparmio di spesa).”

Ciò che però più interessa della pronuncia in commento, tuttavia, è l’avere ribadito il recente orientamento affermatosi in giurisprudenza secondo cui, perché l’interesse si configuri, non è necessario che la violazione delle cautele in materia di sicurezza sul lavoro assuma carattere di sistematicità, potendo il requisito ritenersi integrato “anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un’iniziativa estemporanea, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente”.

La sistematicità delle violazioni, al più, potrà attenere “al piano prettamente probatorio, quale possibile indizio della esistenza dell’elemento finalistico della condotta dell’agente”.

Quanto al vantaggio, invece, la pronuncia rimanda ad un ragionamento in chiave esclusivamente oggettiva.

La ricorrenza di tale presupposto, in particolare, si ricava dalla realizzazione di un profitto per l’ente immediatamente conseguente alla commissione del reato.

In particolare, “ricorre il requisito del vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore”, ha violato le norme cautelarimettendo in atto “una politica di impresa disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, la quale a sua volta ha determinato:

  1. “una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con conseguente massimizzazione del profitto”, ovvero
  2. una“massimizzazione della produzione”.

Per tali ragioni, contrariamente al presupposto dell’interesse, il vantaggio va valutato rigorosamente ex post.

Ciò detto, argomentano i Giudici di legittimità, poiché “nei reati colposi d’evento contro la vita e l’incolumità personale commessi sul lavoro” la condotta coincide con la violazione della regola antinfortunistica, diventa dirimente verificare che il vantaggio ricavato dall’ente sia conseguenza della violazione stessa.

Su questo piano, il problema principale è quanto rilevante debba essere l’utilità che la persona giuridica ricava dalla violazione cautelare per potersi dire integrato il criterio dell’interesse.

Anche qui la Corte appare chiara nel sottolineare che nel caso in cui si “accerti l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele dovute, in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro” il vantaggio potrà configurarsi solo se si dimostrila “oggettiva prevalenza delle esigenze della produzione e del profitto su quella della tutela della salute dei lavoratori quale conseguenza delle cautele omesse”.

Occorrerà, cioè, la prova che, indipendentemente dall’utilità diretta derivata dalla violazione cautelare (che potrà anche essere irrisoria nel caso concreto), l’ente abbia dalla stessa comunque ricavato un “effettivo” ed “apprezzabile” vantaggio sul piano produttivo, ad esempio in termini di riduzione dei tempi delle lavorazioni o di aumento della resa produttiva.

In caso contrario alcuna responsabilità potrà essere attribuita alla persona giuridica ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Avv. Adamo Brunetti

Leggi la sentenza n. 22256 dell’8 giugno 2021
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