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Controlli interni e monitoraggio (effettivo) delle catene di fornitura. I recenti casi dei Big della moda italiana.

Premessa. Con recente decreto del 3 aprile 2024 del Tribunale di Milano, sezione autonoma misure di prevenzione, una nota casa della moda italiana è stata assoggettata alla misura dell’amministrazione giudiziaria ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. 159/2011 per una serie di irregolarità emerse nell’ambito delle indagini condotte dalla Procura meneghina in materia di sfruttamento del lavoro.
231 / Aziende / Business

Controlli interni e monitoraggio (effettivo) delle catene di fornitura. I recenti casi dei Big della moda italiana.

Premessa.

Con recente decreto del 3 aprile 2024 del Tribunale di Milano, sezione autonoma misure di prevenzione, una nota casa della moda italiana è stata assoggettata alla misura dell’amministrazione giudiziaria ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. 159/2011 per una serie di irregolarità emerse nell’ambito delle indagini condotte dalla Procura meneghina in materia di sfruttamento del lavoro.

Il caso è pressoché analogo ad altro antecedente di pochi mesi (gennaio 2024), sempre su indagine della Procura di Milano, relativo ad altra azienda di rilevante importanza nel settore fashion.

Quelle emerse nei provvedimenti citati rappresentano situazioni che pongono in rilievo – tra gli altri – l’adeguatezza e l’efficace attuazione dei Modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D.lgs. 231/01 (anche “Modelli 231”), con particolare riferimento ai rapporti con le catene di fornitura e di produzione.

Tale circostanza, come vedremo, si pone anche in ottica di compliance integrata con le dichiarazioni societarie in ambito ESG.

1.    Il decreto del Tribunale di Milano e le argomentazioni a supporto dell’amministrazione giudiziaria.

La vicenda prende le mosse da attività di controllo ispettivo svolti dal Nucleo Ispettorato del Lavoro del Comando Carabinieri di Milano nei confronti di opifici a conduzione cinese cui la multinazionale aveva affidato la produzione di articoli poi venduti con il proprio brand.

Le predette verifiche hanno consentito di riscontrare non solo semplici e contingenti difformità alle normative vigenti in materia di tutela del lavoro, ma aspetti comuni e ricorrenti, e precisamente:

  • Utilizzo e sfruttamento di manodopera irregolare e clandestina;
  • Transito, in molteplici casi, degli stessi soggetti irregolari da un opificio all’altro;
  • Presenza, in tutti i casi esaminati, del medesimo committente della produzione in sub appalto.

Il meccanismo è pressoché identico a quanto già rilevato dal medesimo Tribunale nel caso di gennaio, ovvero l’esternalizzazione della produzione a stabilimenti cinesi presso i quali si realizzava una sistematica violazione delle norme in materia di salute, sicurezza e anche dei diritti dei lavoratori.

L’applicazione della misura dell’amministrazione giudiziaria, prevista dall’art. 34 c. 1 D.lgs. 159/2011 sostituito dalla Legge 161/2017, si basa sulla presenza di sufficienti indizi dai quali possa dedursi che l’esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle imprenditoriali, abbia carattere ausiliario ed agevolatorio rispetto all’attività di persone nei confronti delle quali sia stata proposta o applicata una misura di prevenzione ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per alcuni delitti, fra cui quello di intermediazione illecita o caporalato cui all’art. 603 bis c.p..

L’istituto, in particolare, richiede che tale attività, seppur esercitata con modalità lecite, abbia offerto un contributo facilitatore ai soggetti attinti da misura prevenzione od indagati.

Ulteriore condizione, di tipo negativo, prevista dalla richiamata norma per l’applicazione della misura di prevenzione nei confronti del titolare dell’attività economica agevolatrice è che questi debba essere necessariamente soggetto terzo rispetto all’agevolato e che le sue attività debbano effettivamente rientrare nella sua disponibilità.

Se così non fosse, invero, se cioè l’imprenditore fosse un mero prestanome del soggetto agevolato, i suoi beni potrebbero, infatti, essere immediatamente aggrediti con il sequestro e la confisca di prevenzione, che può colpire tutto il patrimonio di cui il soggetto proposto può direttamente o indirettamente (appunto tramite fittizie intestazioni) disporre.

Fulcro del decreto del Tribunale è la tesi secondo cui, «sul piano del profilo soggettivo richiesto per l’applicazione della misura di prevenzione, il soggetto terzo debba porre in essere una condotta censurabile quantomeno su un piano di rimproverabilità “colposa” – quindi negligente, imprudente o imperita – senza che ovviamente la manifestazione attinga il profilo della consapevolezza piena della relazione di agevolazione (tale ultimo caso, infatti, è ascrivibile nella cornice dolosa del diritto penale, ad ipotesi concorsuali o, quantomeno, favoreggiatrici)».

Ebbene, la c.d. agevolazione colposa, quale concetto dirimente nella vicenda qui esaminata, è ricavata dai Giudici dai seguenti fattori:

  • La carenza di “modelli organizzativi ai sensi del d. lgs 231/01”;
  • La presenza di sistemi di internal audit fallaci.

La conseguenza, è stata – dunque – il ricorrere dei presupposti per l’applicazione dell’istituto di cui all’art. 34 D.lgs. 159/2011, con riferimento, appunto, al reato di cui all’art. 603-bis c.p.

Ciò posto, il decreto in commento ha attribuito alla società profili di colpa nel non aver «verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici alle quali affidare la produzione e nel non aver mai effettuato ispezioni o audit per appurare in concreto le reali condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro (chiedere il codice di condotta del fornitore in assenza di un efficace sistema di verifica e controllo rimane pura forma)».

La multinazionale – si legge nel provvedimento – «non ha mai effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione dalle stesse adottate, ed è rimasta inerte, pur venendo a conoscenza dell’esternalizzazione della produzione da parte delle società fornitrici, omettendo di assumere iniziative come la richiesta formale di verifica della filiera dei sub-appalti, di autorizzazione alla concessione dei sub appalti o la rescissione dei legami commerciali, con ciò realizzandosi – quantomeno sul piano di rimprovero colposo determinato dall’inerzia della società – quella condotta agevolatrice richiesta dalla fattispecie ex art. 34 D.Lvo 159/2011 per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria».

In conclusione, «procedendosi nei confronti di un’impresa pienamente operativa, rappresentativa del cd “Made in Italy” tanto apprezzato all’estero ed avente rilevanti dimensioni, in applicazione del principio di proporzionalità, si può modulare la misura in modo sì da assicurare il controllo da parte del Tribunale sugli organi gestori – per esempio per sostituire i componenti della governance e degli organi di controllo e per adeguare i presidi di controllo interno – ma lasciando il normale esercizio di impresa in capo agli organi di amministrazione societaria».

2.    Il Modello 231, le best practice e la Sostenibilità.

In un simile contesto, risulta fondamentale sottolineare l’importanza di implementare adeguati protocolli di comportamento nei Modelli 231, per garantire che i fornitori rispettino la normativa di riferimento e il Modello 231 dell’impresa appaltatrice.

Ciò soprattutto con riferimento al rispetto dei diritti dei lavoratori ed alle norme in materia di igiene, salute e sicurezza.

Da questo punto di vista, ad esempio, le “Linee Guida 231 di Confindustria per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo“, pubblicate nel giugno 2021, nel documento Appendice – Case Study, prevedono quanto segue riguardo al reato di cui all’art. 603-bis c.p:

  • L’inserimento di clausole contrattuali standard riguardanti il rispetto delle disposizioni in materia di immigrazione e regolarità del soggiorno in caso di cittadini di Paesi extracomunitari;
  • L’inserimento di clausole contrattuali standard riguardanti il rispetto, in linea con le disposizioni di legge applicabili e/o comunque con le best practice di riferimento, delle condizioni di lavoro in materia di retribuzioni, orario di lavoro, ferie, riposi, permessi, congedi, tutela dei minori in età non lavorativa, metodi di sorveglianza e situazioni alloggiative eventualmente offerte al personale impiegato in relazione all’esecuzione delle prestazioni contrattuali;
  • La possibilità di svolgere, in presenza di specifici indicatori di rischio, attività di verifica e audit sul rispetto di quanto contenuto nelle clausole contrattuali sopra riportate. Con riferimento all’utilizzo di lavoratori somministrati/distaccati prevedano (tenuto conto della durata del rapporto di lavoro) quanto meno
    • la verifica del rispetto delle disposizioni di legge relative allo svolgimento delle prestazioni lavorative in linea con il normale orario di lavoro e al godimento di ferie, riposi, permessi e congedi (es. matrimoniale, maternità, ecc.) e le attività da seguirsi in caso di eventuali scostamenti;
    • il divieto di utilizzare impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali possa derivare una forma di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori per finalità diverse da quelle previste dalle disposizioni normative vigenti, nonché l’obbligo di ricorrere a sistemazioni alloggiative dignitose e non degradanti.

Non da ultimo appare necessario, in ottica preventiva rispetto ai rischi connessi allo sfruttamento illecito dei lavoratori da parte dei fornitori, la previsione di misure che consentano di monitorare i contratti di appalto e i contratti di natura commerciale da cui possa derivare l’invio di personale a vario titolo presso altra impresa o ente.

Qualche osservatore ha anche puntualizzato che, avendo la società sottoposta a misura, redatto e pubblicato un proprio bilancio di sostenibilità, rischia per questo di aver dichiarato il falso anche rispetto a tali dichiarazioni societarie, posto che, all’interno del Bilancio di sostenibilità 2022 del Gruppo, fra i principali fattori esterni di rischio, si evidenziano le violazioni dei diritti umani lungo la catena di fornitura, inadempienze, non conformità in ambito ESG delle terze parti.

Vi è da dire, inoltre, che, come commentato nel nostro blog (La Direttiva Europea sulla due diligence di sostenibilità: gli impatti per le imprese – CO.DE (code4com.it) e L’iter di approvazione della Direttiva sulla due diligence per la sostenibilità (CSDD) prosegue. Accordo fra Consiglio e Parlamento UE. – CO.DE (code4com.it) la Direttiva europea sulla due diligence di sostenibilità, prevederà fra le altre cose, la conduzione di verifiche anche sui. c.d. rapporti commerciali diretti e indiretti consolidati, con riferimento a:

  • Una descrizione dell’approccio della società, inclusi i riferimenti all’orizzonte di lungo periodo, alle tematiche di due diligence;
  • Un codice di condotta, che descriva regole e principi da seguire da parte dei dipendenti della società e delle società controllate;
  • Una descrizione dei processi di due diligence e del sistema di verifica rispetto al codice di condotta, da estendere anche alle relazioni commerciali.

Tale atto normativo, fra l’altro, è stato da ultimo approvato in data 24 aprile 2024.

3.    Considerazioni conclusive.

Qual è l’indicazione che può trarsi dalla vicenda esaminata?

Innanzitutto, che il presidio di garanzia rispetto alla responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001 rappresentato dal modello organizzativo non può in alcun modo rimanere concepito come circoscritto all’interno del perimetro societario.

Ciò significa che l’Ente, attraverso le sue funzioni, debba definire appositi procedure e controlli anche in funzione di prevenzione di illeciti da parte di terzi con cui sussistono relazioni in affari, siano essi di fornitura o di produzione.

Ne deriva, secondo quanto affiora dal caso oggetto del decreto in commento, che per scongiurare la c.d. agevolazione colposa di reati da parte di terzi ai quali si sia affidata un’attività esternalizzata, presupposto di applicabilità dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34 D.Lgs. 159/2011, non ci si può limitare alla mera previsione di clausole contrattuali standard, ma occorre andare oltre, definendo ed attuando specifici audit presso i terzi così da assicurare la verifica effettiva del rispetto delle previsioni contrattuali (anche sulla base di indicatori di rischio).

Tali controlli, peraltro, si pongono sia in linea con le best practice di riferimento in campo 231, come le Linee Guida Confindustria, sia, per chi ricade nell’ambito applicativo, con i nuovi e imminenti obblighi europei di rendicontazione e due diligence di sostenibilità, consentendo un approccio in termini di compliance integrata.

Scarica qui il decreto in commento

Avv. Adamo Brunetti

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