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Cassazione e responsabilità 231. Le recenti indicazioni sull’idoneità dei Modelli in tema di salute e sicurezza

Cassazione e responsabilità 231. Le recenti indicazioni sull’idoneità dei Modelli in tema di salute e sicurezza
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Cassazione e responsabilità 231. Le recenti indicazioni sull’idoneità dei Modelli in tema di salute e sicurezza

Corte di Cassazione – IV Sez. Penale – sentenza 22 maggio 2023 n. 21704 (udienza 28/03/2023)

La Corte di Cassazione è ultimamente ritornata sul tema della responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 con riferimento al reato di cui all’art. 589 co. 2, c.p.

Il punto centrale della motivazione, che qui interessa, riguarda il concetto di idoneità del Modello 231, secondo l’interpretazione giurisprudenziale ormai consolidata per cui non sia sufficiente l’adozione di un idoneo Modello organizzativo per ottenere l’esimente, occorrendo piuttosto dimostrare che “lo specifico rischio era stato considerato nel Modello organizzativo.

1. Il caso.

Con tale motivazione, la Corte di Legittimità ha rigettato il ricorso di un ente, condannato per il decesso di un dipendente investito da sostanze venefiche mentre provava a sbloccare il meccanismo di pompaggio dei fanghi di un impianto aziendale durante il turno di notte.

Secondo l’ipotesi accusatoria, agli imputati venivano ascritte, a titolo di colpa specifica, diverse violazioni ed in particolare:

  • Omessa adozione di misure atte a controllare il rischio in caso di emergenza; mancata informazione delle procedure da attivare in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile;
  • Omesso allestimento di un impianto di decantazione conforme ai requisiti di sicurezza essenziali, in attuazione della “Direttiva macchine” del 2004;
  • Altre violazioni contestate anche al Medico Competente nominato dalla Società, con specifico riferimento al settore della depurazione dei reflui e dei rischi derivanti dalla presenza, nel ciclo di lavoro, di sostanze organiche, avendo parte datoriale consentito al lavoratore di accedere in un ambiente ove era possibile il rilascio di gas deleteri, senza previo accertamento dell’assenza di pericolo o risanamento dell’atmosfera mediante ventilazione o altri mezzi idonei).

Nella circostanza, il lavoratore era stato impiegato in un intervento manutentivo (nella specie il ripristino del flusso dei fanghi in uscita dal decantatore), a causa di un intasamento dovuto alla presenza nelle tubazioni di materiale estraneo e di fanghi solidificati, in un locale confinato e privo di adeguato ricambio di aria, secondo una procedura non formalizzata, ma invalsa nella prassi aziendale, in difetto di indicazioni relative a specifiche sequenze operative per la manutenzione dell’impianto stesso.

2. Le argomentazioni della Cassazione. In particolare, le conclusioni rispetto al Modello 231 dell’ente incolpato.

La Suprema Corte, nel rigettare integralmente i motivi del ricorso, si focalizza anche sul motivo incentrato sulla responsabilità da reato dell’ente ex D.Lgs. 231/2001.

Preliminarmente, i Giudici precisano:

  1. La natura di “tertium genus” della responsabilità da reato degli enti, compatibile – di per sé – con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza e
  2. I criteri d’imputazione oggettiva della stessa, richiamando sul punto la pronuncia delle Sezioni Unite, n. 38343 del 24/4//2014.

In tutto ciò, il nodo cruciale è costituito dal corretto inquadramento dei reati colposi di evento rispetto agli addebiti 231.

Come noto, infatti, il Legislatore ha previsto specifici criteri oggettivi di imputazione di tale responsabilità, vale a dire l’interesse o il vantaggio (art. 5 D.Lgs. n. 231 del 2001), che sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto:

  1. Il primo, l’interesse, esprime la proiezione finalistica del reato, valutabile in modo prognostico (ex ante), al momento del fatto e secondo un parametro di giudizio essenzialmente soggettivo, volontaristico;
  2. Mentre, il secondo, il vantaggio, si connota per la sua essenza oggettiva, misurabile ex post, sulla base degli effetti concretamente conseguiti dall’illecito (Sez. Unite, n. 38343/2014, cit., Rv. 261114).

Tuttavia, nel caso di responsabilità amministrativa connessa a reati colposi di evento realizzati in violazione della normativa antinfortunistica, la Corte di Cassazione ha precisato che la “colpa di organizzazione” deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero mosso all’ente per non aver rispettato l’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione delle fattispecie previste all’art. 25-septies D.Lgs. 231/2001 (Sez. Unite, n. 38343/2014, cit., Rv. 261113).

In quest’ottica i Giudici di Legittimità hanno chiarito che i criteri di imputazione della responsabilità vanno riferiti, non già all’evento, ma alla condotta del soggetto agente, in conformità alla diversa struttura dell’illecito, essendo ben possibile che l’agente violi consapevolmente la regola cautelare, o che addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo.

A maggior ragione, vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l’ente (in motivazione, Sez. U. n. 38343 del 2014, cit.).

Non solo, ma perché si configuri la responsabilità ex D.Lgs. 231/01, non sono di per sé sufficienti la mancanza o inidoneità del modello organizzativo o la relativa inefficace attuazione.

Sotto tale profilo è piuttosto necessario dimostrare la colpa organizzativa, che caratterizza la tipicità dell’illecito amministrativo ed è distinta dalla colpa degli autori del reato (sez. 4, n. 18413 del 15/2/2022, Cartotecnica Grafica Vicentina, Rv. 283247).

Nell’affermare tale principio, peraltro, si è spiegato in motivazione che la struttura dell’illecito addebitato all’ente è incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale va considerata essenziale:

  1. La relazione funzionale tra autore del fatto ed ente e
  2. Quella teleologica tra reato ed ente.

Ciò nell’ottica di rafforzare il rapporto di immedesimazione organica in grado di escludere che alla persona giuridica possa essere attribuito un reato commesso da soggetto che pur essendo incardinato nella propria organizzazione, abbia agito per fini estranei agli scopi di questa (richiamando sez. 4, n. 32899 del 8/1/2021, Castaldo, in motivazione).

Ne deriva che l‘ente risponde per un “fatto proprio” e che a tal fine deve pur sempre essere riscontrata una sua “colpa di organizzazione” – intesa quale deficit organizzativo – a sua volta dimostrata (dall’accusa) dal fatto che sia stata omessa da parte dell’ente stesso la predisposizione degli accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato.

Una simile interpretazione, in definitiva, attribuisce al requisito della “colpa di organizzazione” dell’ente la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, vale a dire, di un elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione “colpevole” (ovvero rimproverabile) della regola cautelare.

3. Considerazioni conclusive.

Un simile argomentare ha permesso al Collegio di escludere l’eventualità – pur paventata dalla difesa – che le valutazioni dei primi due gradi di giudizio fossero avvenute sulla scorta di meccanismi presuntivi.

Anzi, la Suprema Corte ha confermato quanto sostenuto dai Giudici di merito secondo cui la “linea politica” dell’ente non fosse stata affatto orientata all’implementazione al proprio interno di validi presidi a garanzia della sicurezza sul lavoro.

Il fatto, poi, che il reato fosse stato commesso da soggetti rivestenti posizioni apicali, nonché la tipologia di violazione contestata a tali figure, facevano emergere una vera e propria scorretta impostazione dell’attività produttiva, a sua volta tradottasi in un risparmio di costi nel settore specifico della sicurezza determinato dalla mancata implementazione di procedure lavorative riferite ai luoghi ove esistevano fattori di rischio conosciuti; ovvero dalla carenza di una specifica formazione/informazione dei lavoratori in relazione allo specifico rischio poi effettivamente concretizzatosi.

Avv. Adamo Brunetti

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