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Autonomia della responsabilità 231 tra aspetti sostanziali e risvolti processuali

Autonomia delle responsabilità 231
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Autonomia della responsabilità 231 tra aspetti sostanziali e risvolti processuali

Breve commento alla sentenza della Corte di Cassazione, IV SezionePenale, n.11688 del 29.3.2021

Il tema dell’autonomia tra responsabilità dell’ente ex D.Lgs. 231/2001 e responsabilità della persona fisica autrice del reato-presupposto è spesso oggetto di dibattito in giurisprudenza.

Sul punto è di recente intervenuta la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 11688 del 29.03.2021 la quale, affrontando la questione sul piano esclusivamente processuale, si è pronunciata sull’operatività del principio di estensione dell’impugnazione in caso di ricorso per Cassazione presentato da una società che non aveva appellato la sentenza di condanna in primo grado.

Nel caso di specie all’ente si contestava l’illecito previsto dall’art. 25-septies D.Lgs.231/01connesso al delitto-presupposto di lesioni personali colpose.

La questione, in particolare, afferiva “all’infortunio occorso ad una persona che si trovava all’interno dell’officina di una società ove era giunta per far riparare il proprio camion. Durante le operazioni di riparazione il soggetto in questione era stato colpito dalla cabina dell’automezzo che era stata sollevata con modalità non conformi a quanto previsto dal manuale operativo del produttore del mezzo, riportando le menzionate lesioni.

Al legale rappresentante della società era stato ascritto di non aver eseguito la valutazione dei rischi connessi alle operazioni lavorative consistenti nella riparazione della pompa idraulica di sollevamento della cabina dei camion e di non aver emanato disposizioni circa gli obblighi degli operai di attenersi ai manuali operativi delle macchine oggetto di intervento; ed ancora, di aver omesso di vietare l’accesso di terzi all’officina e di aver omesso di somministrare la necessaria formazione.

Alla società veniva ascritto l’illecito di cui all’art. 25-septies perché dal reato presupposto essa aveva tratto vantaggio, consistito nel risparmio del denaro necessario allo svolgimento dell’attività di formazione e alla esecuzione della valutazione dei rischi”.

A seguito del giudizio di primo grado solo le persone fisiche condannate proponevano impugnazione, mentre la società ometteva di farlo partecipando al giudizio di appello in base alla previsione di cui all’art. 587, 1 comma c.p.p. “che consente al coimputato non impugnante […] di partecipare al procedimento di impugnazione promosso da altro imputato, giovandosi della impugnazione di quest’ultimo”.

Contro la sentenza di appello – invece – tutti, compreso l’ente, proponevano ricorso per Cassazione.

A questo punto la Suprema Corte dichiarava il ricorso della società inammissibile poiché questa, nonostante la condanna in primo grado, non aveva appellato la relativa sentenza, che era stata invece impugnata unicamente dalle persone fisiche.

L’aver omesso da parte dell’ente di appellare la pronuncia di primo grado avrebbe invero precluso a quest’ultimo di proporre successivamente ricorso per Cassazione.

Il principio applicato in tal caso è stato quello – più volte riconosciuto alla persona fisica – secondo cui “l’art. 587 c. 1 c.p.p. non attribuisce all’imputato non appellante un autonomo diritto a proporre ricorso per cassazione nell’ipotesi di mancato accoglimento dei motivi presentati dall’imputato ritualmente appellante“.

Trattasi di una conclusione che, con specifico riguardo alla materia della responsabilità ex D.Lgs. 231/01, trova giustificazione (e si rafforza) nella considerazione secondo la quale qui la posizione dell’ente è del tutto autonoma rispetto a quella della persona fisica autrice del reato presupposto.

Quello dell’autonomia delle responsabilità è del resto un principio consolidato, innanzitutto sul piano sostanziale in forza di quanto stabilito dall’art. 8 del D.Lgs.231/2001.

Proprio sotto tale profilo la Suprema Corte (Sez. III, Sent. n. 1420 del15/01/2020) ha di recente precisato, seppur in un contesto differente rispetto a quello qui esaminato, che “La colpa di organizzazione […] fonda una colpevolezza autonoma dell’ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica […] dovendo [anche in presenza di cause di esclusione della punibilità della persona fisica n.d.r.] egualmente il giudice procedere all’autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso”.

L’autonomia sostanziale si riflette, poi, immancabilmente anche sul versante processuale.

Da questo punto di vista una conferma è data dagli artt. 71 e 72 del D.lgs. 231/01 i quali, in materia di gravame, sanciscono il diritto per l’ente di impugnare in maniera indipendente rispetto alla persona fisica la sentenza che gli applica sanzioni amministrative.

L’art. 71, in particolare, prevede che contro la sentenza che applica sanzioni amministrative diverse da quelle interdittive l’ente può proporre impugnazione nei casi e nei modi stabiliti per l’imputato del reato dal quale dipende l’illecito amministrativo. Contro la sentenza che applica una o più sanzioni interdittive, l’ente può sempre proporre appello anche se questo non è ammesso per l’imputato del reato dal quale dipende l’illecito amministrativo.

L’art. 72, invece, dispone che le impugnazioni proposte dall’imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo e dall’ente, giovano, rispettivamente, all’ente e all’imputato, purché non fondate su motivi esclusivamente personali”.

“Si tratta – affermano gli ermellini nella sentenza in commento – di una disposizione analoga a quella recata dall’art. 587 c.p.p. e che sostiene il principio secondo il quale, in caso di condanna dell’imputato nel giudizio di appello che non abbia visto anche l’ente farsi appellante, questo non può proporre ricorso per cassazione, giacché il D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 72permette di estendere all’ente non impugnante gli effetti favorevoli conseguiti dall’impugnazione presentata dall’imputato, ma non gli riconosce un autonomo diritto al ricorso per cassazione, con eversione della catena devolutiva”.

Funzione dell’effetto estensivo dell’impugnazione, invero, è solo quella di “assicurare la par condicio degli imputati che si trovino in situazioni identiche”, senza che ciò implichi “una riammissione nei termini prescritti per la impugnazione.

Conclude la Corte che “le impugnazioni dell’imputato persona fisica e dell’ente sono e restano tra di loro indipendenti: è solo l’eventuale giudicato positivo che si estende per evitare giudicati contrastanti che potrebbero imporre la revisione della Sentenza dichiarativa di responsabilità nei confronti dell’ente a norma dell’art. 73 D.lgs. 231/01”.

Il che consolida, ancora una volta, il principio di autonomia delle posizioni, vale a dire della persona fisica e dell’ente rispetto all’unico fatto (il reato-presupposto) su cui si fondano le rispettive responsabilità, penale ed amministrativa.

Avv. Adamo Brunetti

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