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La Direttiva PIF a quasi un anno dal suo recepimento in Italia. Breve riflessione sul ruolo della compliance.

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La Direttiva PIF a quasi un anno dal suo recepimento in Italia. Breve riflessione sul ruolo della compliance.

Con il D.Lgs. n.75/2020, entrato in vigore il 30 luglio 2020, l’ordinamento nazionale ha recepito le disposizioni contenute nella Direttiva (UE) 2017/1371 (cd. Direttiva PIF) per contrastare le frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione europea. Cosa è accaduto in quasi un anno? Qual è il ruolo della compliance oggi in Italia?

Vediamo, innanzi tutto, le principali novità che la Direttiva ha comportato.

  1. Innanzi tutto, la modifica degli artt. 316 – 316-ter e 319-quater, nonché degli artt. 322-bis e 640 co.2 n.1 c.p. In particolare, sono state inasprite le sanzioni per le fattispecie di peculato mediante profitto dell’errore altrui, di indebita percezione di erogazioni pubbliche e di induzione indebita (con riferimento alla condotta del privato) : in questi casi è prevista la reclusione fino a quattro anni quando il fatto leda gli interessi finanziari dell’UE ed il danno o il profitto ammontino ad una somma superiore a 100.000 euro. Inoltre, la truffa all’UE viene equiparata alla truffa ai danni dello stato. 
  2. Altra novità interessante è costituita dall’ampliamento dei reati presupposto ai fini della configurabilità della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D.lgs. 231/2001. A seguito del recepimento della Direttiva PIF la responsabilità di società ed enti può scaturire anche dai delitti di frode nelle pubbliche forniture, di indebita percezione di fondi europei per l’agricoltura, di contrabbando (ove i diritti di confine dovuti ammontino ad una somma superiore a 10.000 euro), nonché di peculato ed abuso d’ufficio idonei a ledere interessi finanziari dell’Ue. 
  3. Con riferimento, invece, alle fattispecie tributarie, già in buona parte introdotte nel contesto del D.Lgs. 231/2001 dal Decreto Fiscale 2020, il D.Lgs. n. 75/2020 ne estende l’elenco alla dichiarazione infedele (art. 4, D.Lgs. 74/2000), all’omessa dichiarazione (art. 5, D.Lgs. 74/2000), all’Indebita compensazione (art. 10 quater, D.Lgs. 74/2000) quando rivestano carattere di transnazionalità e siano commesse per evadere l’IVA per un valore di almeno 10 milioni di euro. 

Nell’arco degli ultimi 12 mesi già molte organizzazioni si sono attivate per rafforzare le proprie politiche di compliance, aggiornando i modelli 231 ed intensificando i controlli sulle aree maggiormente esposte ai rischi-reato contemplati dalla Direttiva PIF.

In piena emergenza pandemica, infatti, si è registrata una fervente attività da parte di tanti enti i quali – spinti anche dagli impulsi provenienti dagli Organismi di Vigilanza – hanno provveduto a revisionare i propri modelli organizzativi conformandoli alle novità intervenute.

Nonostante gli sforzi compiuti in tal senso, e nonostante i 20 anni trascorsi dall’approvazione del D.Lgs. 231/2001, tuttavia, ancora tanta strada occorre percorrere perché la cultura della prevenzione dei rischi ed i sistemi di Risk Based Approach che ne sono la concreta attuazione possano diffondersi e divenire, non solo strumento di contrasto alle forme di illegalità, ma anche occasione per una gestione più efficiente ed organizzata dei processi aziendali.

Del resto, il primo passo verso la migliore forma di prevenzione dei rischi è la gestione efficace dei processi da cui quei rischi possono derivare.

Avv. Adamo Brunetti

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