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Il consigliere senza deleghe e la responsabilità per omesso impedimento di eventi illeciti in un recente arresto della Cassazione.

Cassazione, provvedimento sulla responsabilità del consigliere senza deleghe per omesso impedimento di eventi illeciti
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Il consigliere senza deleghe e la responsabilità per omesso impedimento di eventi illeciti in un recente arresto della Cassazione.

Cass. pen., Sez. V, Sent. 13 settembre 2021 (ud. 9 luglio 2021), n. 33856

1. IL CASO

Il provvedimento in commento prende avvio dal ricorso presentato contro la decisione della Corte di Appello di Milano che, confermando la sentenza emessa dal GUP presso il Tribunale di Monza, condannava un imputato, in qualità di membro del consiglio di amministrazione di una società dichiarata fallita nel 2013, per i reati di cui agli artt. 216 co. 1 lett. a) e 217 co.1 n. 4 della Legge 267/1942 (c.d. Legge Fallimentare), nella specie, rispettivamente, bancarotta fraudolenta distrattiva e dissipativa, nonché bancarotta semplice da ritardata richiesta di fallimento. 

Al consigliere di amministrazione veniva, in particolare, contestato l’acquisto da parte della società fallita di un immobile di cui era tra l’altro comproprietario ad un prezzo maggiorato rispetto a quello di mercato. 

Il suo difensore ricorreva in Cassazione contestando, tra gli altri motivi, il giudizio di addebitabilità soggettiva del fatto ascritto al proprio assistito, in virtù della sua veste di mero consigliere di amministrazione senza delega, privo dunque di alcun potere gestionale ed operativo.

Sosteneva al riguardo il ricorrente di non avere avuto conoscenza dei termini dell’operazione incriminata e di non avere apprezzato l’esistenza di elementi sintomatici della relativa rischiosità, essendo egli rimasto del tutto estraneo al processo decisionale. 

A suo dire, pertanto, l’evento distrattivo a fondamento della propria condanna nel giudizio di merito non poteva, sul piano psicologico, essergli attribuito

2. LA DECISIONE

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile dalla Corte poiché manifestamente infondato in quanto l’imputato aveva partecipato alla deliberazione con cui il C.d.A. aveva deciso l’operazione, “il che lascia ragionevolmente ritenere che egli sapesse dell’incongruità del prezzo e che quindi ancorché […] senza delega percepisse il segnale di allarme costituito da quest’ultimo”.

La pronuncia è stata l’occasione per i giudici di legittimità per ritornare a riflettere sui presupposti ed i confini della responsabilità del consigliere non esecutivo nell’ambito dei reati di bancarotta. 

Sottolinea al riguardo la Cassazione che “in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore privo di delega per omesso impedimento dell’evento, è necessario che emerga la prova da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarmeinequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio […]  del verificarsi dell’evento illecito” (secondo i canoni del dolo eventuale)“e, dall’altro, della volontà – nella forma del dolo indirettodi non attivarsi per scongiurare detto evento”. 

È sulla base di queste valutazioni che la Corte rigettava il ricorso.

3. IL RAGIONAMENTO DELLA CASSAZIONE

La decisione, valorizzando il momento dell’accertamento giudiziale della conoscenza dei fatti pregiudizievoli per la società o del percepimento, da parte del consigliere senza deleghe, di indici di allerta, ha ribadito la necessità di ancorare la responsabilità dei consiglieri non esecutivi a parametri di rimproverabilità soggettiva della condotta.

Del resto, il ragionamento della Corte si pone esattamente in linea con la riforma del diritto societario operata dal Legislatore nel 2003 (D. Lgs. n. 6/2003) nella misura in cui, avendo questa ridimensionato i doveri di vigilanza e controllo del consigliere non esecutivo a quanto effettivamente i suoi reali poteri possono consentirgli di fare, ha evitato che costui venga chiamato a rispondere per il solo fatto di essere componente dell’organo amministrativo (responsabilità di posizione) e, dunque, a titolo di (velata) responsabilità oggettiva

Oggi, infatti, il consigliere senza deleghe, su cui incombe non più un dovere di vigilanza sull’andamento della gestione ma un meno pregnante obbligo di valutare l’attività di gestione da parte del delegato (art. 2381, co. 3 cc) agendo in maniera informata (art. 2381, co. 6 cc), risponderà soltanto ove, come si legge nella sentenza in commento, emerga la prova del fatto che essendo a conoscenza di fatti dannosi o potenzialmente dannosi per la società e non si sia attivato per evitarli o abbia accettato il rischio che si verificassero.  

4. IL RUOLO DELL’ELEMENTO PSICOLOGICO

Si comprende, allora, il ruolo centrale che l’elemento soggettivo e la relativa valutazione giudiziale rivestono nell’indagine volta ad accertare se il consigliere non esecutivo abbia o meno assunto una posizione penalmente apprezzabile nell’ottica del concorso con gli altri componenti del C.d.A. rispetto a fattispecie a costoro ascrivibili.

Seguendo l’impostazione della Corte di Cassazione l’amministratore non esecutivo che sia a conoscenza di un reato (di prossima realizzazione o già in corso di esecuzione) e non si attivi per impedirne l’attuazione, risponderà ex art. 40 co. 2 c.p.

Egli, cioè, potrà essere chiamato in causa sul piano penale se e solo se sia stato puntualmente informato in ordine alla commissione di fatti illeciti da parte di terzi, ovvero abbia – quanto meno – acquisito elementi sintomatici ed inequivocabili in tal senso. E nonostante ciò non abbia fatto nulla per evitare che il reato venisse commesso o portato a pieno compimento. 

Si tratta di quella che la giurisprudenza definisce la teoria dei cd. “segnali (o campanelli) d’allarme”, richiamata nella sentenza in commento, la quale impone al consigliere senza delega di non ignorare quegli indici che di fatto possano essere espressivi di una fattispecie illecita.

Detti elementi, infatti, se conosciuti o conoscibili dal componente del C.d.A. – quale soggetto gravato dagli obblighi di garanzia tipici della funzione ricoperta – fanno scattare per costui il dovere di intervento secondo lo schema del reato omissivo improprio appena visto (art. 40, cpv c.p.). Al contrario, ove tali segnali non sussistano o vi sia la prova che non fossero conosciuti o conoscibili dall’amministratore non delegato, ciò basta ad esonerarlo da responsabilità penale. 

Quanto all’intensità soggettiva del comportamento omissivo dell’amministratore, sufficiente ad imbrigliarlo nella rete della responsabilità, è richiesta almeno quella tipica del dolo eventuale od indiretto, quale percezione da parte sua del pericolo di verificazione dell’evento dannoso e conseguente, deliberata accettazione del relativo accadimento. Il rimprovero per lui in questo casosarà, infatti, quello di non essersi attivato nonostante fosse a conoscenza di una situazione di rischio per la società, anche nella forma più tenue degli indici sintomatici di un illecito attuale o potenziale (cfr. Sez. I, 3/42018 n. 14783, Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018; Sez. 1, n. 14783 del 09/03/2018; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014). 

5. CONCLUSIONI 

È evidente che la soluzione prospettata dalla giurisprudenza citata, ripresa anche nella sentenza in commento, trovi il proprio fondamento nei rapporti tra consigliere delegante e delegato e nei doveri irrinunciabili cui ciascuno è rispettivamente sottoposto, tenuto conto della diversa misura in cui gli stessi sono concepiti dalla disciplina sul diritto societario vigente. 

Sotto tale profilo, invero, come innanzi visto, il consigliere di amministrazione delegante ha, sulla base dell’art. 2381 c. 6 cc., il dovere di valutare la gestione societaria da parte del consigliere delegato attraverso l’agire informato.

Di contro, il consigliere delegato ha oggi l’obbligo di riferire periodicamente al Consiglio di Amministrazione sul generale andamento della gestione, sulla sua prevedibile evoluzione, nonché sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società e dalle sue controllate (art. 2381 comma 5, cc.). 

Ne deriva che il dovere impeditivo ex 40 cpv c.p. di un fatto illecito da parte del consigliere non esecutivo scatterà, alternativamente:

  • A fronte di un’informativa completa da parte del delegato, che fornisca al primo un bagaglio conoscitivo adeguato in ordine ai fatti più rilevanti della gestione;
  • Allorquando – a seguito di mancata o carente informativa – il delegante attivi i propri poteri conoscitivi nei confronti del consigliere esecutivo;
  • Nell’ipotesi, ancora, in cui il delegante rilevi autonomamente elementi di anomalia sintomatici di condotte irregolari commesse nella gestione societaria.

E dunque, per concludere, si può affermare che i fatti penalmente rilevanti che non siano conosciuti o conoscibili da parte del delegante non possono essere fonte di responsabilità per costui dal momento che, pur essendo egli pacificamente gravato dell’obbligo di impedirne l’attuazione o l’ulteriore prosecuzione non è in grado di provvedervi proprio perché non sa della loro perpetrazione.

Mancherebbe in tal caso, infatti, la consapevolezza da parte del consigliere di amministrazione della concretizzazione dei presupposti (vale a dire dell’illecito o quanto meno dei “campanelli di allarme”) del suo agire doveroso: in una parola, l’elemento psicologico a sostegno della propria condotta partecipativa (mediante omissione) al reato del consigliere delegato, anche sotto forma di dolo eventuale.

Scarica qui la sentenza

Avv. Adamo Brunetti

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