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Il rimedio della revisione nel sistema del D.lgs. 231/2001

2025.06.24 - articolo
231 / Giustizia

Il rimedio della revisione nel sistema del D.lgs. 231/2001

Commento a sentenza Cass. Sez. IV, n. 444/2025

La pronuncia in esame affronta il complesso tema, che si interpone nel rapporto tra la disciplina della responsabilità da reato degli enti e i principi processuali penali, della possibilità di revisione della sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., divenuta irrevocabile nei confronti dell’ente ex D.lgs. 231/2001, sulla base del successivo proscioglimento della persona fisica nel giudizio ordinario.

Il caso specifico, pur ancorato a un contesto fattuale circoscritto, interroga la natura e i limiti del giudicato nel sistema 231, nonché la portata dell’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto a quella della persona fisica.

1. La vicenda processuale: tra patteggiamento e successivo proscioglimento

La società era stata condannata, con sentenza di patteggiamento ex art. 63 D.lgs. 231/2001 (e dunque ex art. 444 c.p.p.), in relazione a un illecito dipendente da un reato presupposto ascritto a un proprio dirigente.

Successivamente, in un separato procedimento ordinario, la persona fisica veniva assolta con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste. L’ente proponeva allora istanza di revisione della sentenza ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p., invocando l’intervenuto contrasto di giudicati. La Corte d’appello dichiarava inammissibile la richiesta, e la Cassazione, con la pronuncia in commento, ha confermato tale decisione, ribadendo la non estensibilità del rimedio della revisione in presenza di sentenza di patteggiamento.

2. La revisione come rimedio straordinario e i suoi presupposti oggettivi

Come noto, la revisione, rimedio eccezionale e di carattere rescissorio, è ammessa nei casi tassativamente indicati dall’art. 630 c.p.p. Tra essi, la lettera a) contempla l’ipotesi del “concorso di due sentenze penali irrevocabili che si contraddicono circa l’affermazione della sussistenza o insussistenza del medesimo fatto”. Si tratta di una fattispecie volta a evitare che nel sistema permangano due giudicati inconciliabili, lesivi della coerenza dell’ordinamento.

Nel caso in esame, tuttavia, la Cassazione ha escluso l’ammissibilità della revisione della sentenza di patteggiamento dell’ente, qualificandola come decisione non fondata su un accertamento in contraddittorio, e quindi non suscettibile di revisione ai sensi dell’art. 630 c.p.p. Si tratta di un orientamento consolidato nella giurisprudenza della Corte, che interpreta restrittivamente i presupposti per l’accesso alla revisione, proprio in ragione della sua eccezionalità e natura derogatoria rispetto al principio di irrevocabilità del giudicato.

3. Patteggiamento e revisione: un giudicato “debole”

Il punto cruciale toccato dalla sentenza riguarda, dunque, la natura del giudicato derivante dal patteggiamento. Come noto, la sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. non contiene un accertamento in senso stretto, ma si basa sull’accordo tra le parti e sull’accettazione di una pena in assenza di contraddittorio pieno sul merito. La giurisprudenza ha più volte sottolineato che tale sentenza non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo (art. 445, comma 1-bis, c.p.p.) e non può essere equiparata a una sentenza di condanna ai fini di un eventuale contrasto ex art. 630, lett. a) c.p.p.

La Corte, nella sentenza in esame, ribadisce tale orientamento, sottolineando che il giudicato “debole” derivante dal patteggiamento non può entrare in contraddizione con una sentenza di assoluzione basata su un pieno contraddittorio, poiché i due provvedimenti non sono omogenei quanto a funzione e contenuto. Ne consegue l’inammissibilità della revisione della sentenza emessa nei confronti dell’ente, anche laddove la persona fisica venga successivamente assolta con formula piena.

4. L’autonomia della responsabilità dell’ente e i suoi limiti

Un ulteriore argomento valorizzato dalla Corte attiene al principio di autonomia della responsabilità dell’ente. L’art. 8 del D.lgs. 231/2001 dispone che “l’ente può essere chiamato a rispondere anche se non è stata identificata la persona fisica autore del reato presupposto ovvero se il reato non è stato accertato”. Questa autonomia, tuttavia, non è assoluta: la responsabilità dell’ente richiede pur sempre la sussistenza di un fatto di reato e di un nesso funzionale tra questo e l’ente.

Nel caso di specie, l’assoluzione della persona fisica con la formula “il fatto non sussiste” incide direttamente sulla struttura stessa del fatto-reato presupposto. In altri termini, viene a mancare l’elemento oggettivo della responsabilità dell’ente. Tuttavia, proprio l’origine consensuale della sentenza di patteggiamento e la natura convenzionale della decisione escludono, secondo la Corte, che tale carenza possa fondare la revisione. In sostanza, è l’ente stesso che ha “accettato” la pena in assenza di un pieno contraddittorio, e non può ora invocare un accertamento successivo per rimettere in discussione quella scelta.

5. Conclusioni

La sentenza n. 444/2025 della IV Sezione penale della Cassazione conferma la tenuta dell’impostazione restrittiva circa la revisione della sentenza di patteggiamento anche in ambito 231. Tale indirizzo appare sistematicamente coerente, ma solleva dubbi in ordine alla compatibilità con i principi generali di giustizia sostanziale.

Tuttavia, essa lascia irrisolti alcuni profili problematici. Infatti, permane un evidente iato tra la pretesa autonomia della responsabilità dell’ente e la realtà della sua dipendenza strutturale dal reato presupposto. Se quest’ultimo viene escluso con sentenza irrevocabile, sembra quantomeno discutibile mantenere in vita una responsabilità dell’ente fondata su un fatto che non esiste.

Avv. Adamo Brunetti

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